domenica 31 maggio 2009

Possono esistere dei fiori su Europa, satellite di Giove?


La notizia che vi riportiamo è apparsa sulla rivista di divulgazione scientifica “New Scientist”. La teoria che viene proposta dal professor Freeman Dyson, fisico e futurista, è azzardata ma molto intrigrante. Egli afferma che “dovremmo trovare la vita nei posti più semplici dove possa esistere, anche se le condizioni ambientali non sembrano ottimali“. In particolare Dyson afferma che le nostre navi spaziali dovrebbero cercare dei fiori, simili a quelli che si trovano nelle regioni artiche della Terra, sulle lune ghiacciate e comete nello spazio esterno. “Voglio dire“, afferma, “che la strategia di ricerca nella vita nel cosmo dovrebbe essere quella di cercare ciò che è rilevabile, e non ciò che è probabile“. “Abbiamo una tendenza tra teorici in questo campo che è quella di indovinare ciò che è probabile. In effetti la nostra ipotesi potrebbe essere sbagliata“, ha detto Dyson, “non abbiamo mai avuto l’immaginazione che ci dona la Natura“. Si dovrebbero cercare queste tipologia di forme di vita sulla luna coperta di ghiaccio di Giove, che porta il nome di Europa. L’ipotesi probante che sotto i ghiacci di Europa possano esistere forme di vita non è nuova, ma è una novità il fatto che potrebbero esistere dei vegetali, come i fiori. Dyson afferma che la vita potrebbe assumere le sembianze di fiori, attraverso una forma parabolica che concentra la luce solare su Europa e la immette all’interno del vegetale stesso. Fiori, come quelli che si vedono nella foto a sinistra, si trovano in climi artici sulla Terra dove le piante si sono evolute per massimizzare l’energia solare. Dyson afferma che ”fiori su Europa potrebbero esseri rilevati attraverso un fenomeno denominato “retroriflessione”, in cui la fonte di luce viene riflessa indietro alla sua fonte“. Dyson inoltre afferma che i fiori su Europa potrebbero diffondersi nel resto del sistema solare. “Si può immaginare“, dice Dyson, “che i fiori che vivono sotto i ghiacci di Europa possano evolversi in maniera indipendente“. La propagazione  delle piante più piccole, in altri oggetti lontani degli oggetti nel sistema solare, come le due riserve cometarie di Kuiper e la nube di Oort, è possibile, visto che in quei luoghi si è soggetti meno alla forza gravitazionale e potrebbero facilmente svilupparsi in dimensioni in gradi di massimizzare la raccolta dell’energia solare. Dyson conclude che “anche se le piante sarebbero molto distanti dalla Terra, le loro dimensioni proporzionalmente larghe le renderebbero, comunque, rilevabili”. Le ipotesi di Dyson sono inverosimili oppure no? Ai posteri l’ardua sentenza.

Riassunto dal sito (in inglese) http://www.newscientist.com/


FUMO: 15 ANNI PER PULIRE I POLMONI


(ANSA) - ORLANDO, 30 MAG - Per prevenire il tumore, smettere di fumare e' il primo passo. Ma per ripulire i polmoni dall'effetto delle sigarette servono 10-15 anni. Lo spiega l'oncologo Giorgio Scagliotti dell'Universita' di Torino, a margine del congresso della Societa' americana di oncologia clinica (Asco) in corso ad Orlando. I dati di sopravvivenza al cancro al polmone, considerato un tumore big-killer, non sono incoraggianti: l'80% dei pazienti non sopravvive e la sopravvivenza a 5 anni e' del 14%.

FONTI: ansa.it

Clone che viene, clone che va


Non facciamo in tempo a scrivere che Psystar va verso ilfallimento che ecco spuntare un altro produttore di "cloni Mac": la Apple Open USA.
Vantano una linea di computer in grado di funzionare con Leopardcosì come con qualunque altro OS a 32 bit: Windows Vista, Linux, Unix, Leopard e Solaris. La società dichiara di aver costruito i suoi sistemi sulla piattaforma Snow Leopard, in vista dei futuri aggiornamenti.
Cinque i modelli-base, ciascuno con una ricca serie di opzioni. Garanzia di tre anni su tutti i sistemi e anche un periodo di prova "soddisfatti o rimborsati" di 15 giorni. I sistemi vengono realizzati a Taiwan (fatti a mano con grande cura, si dice nel sito).

Non occorre essere Nostradamus per prevedere una pronta reazione legale da parte di Cupertino: qui, tra l'altro, c'è pure un'azienda che usa il termine "Apple" nella sua ragione sociale. Immagino già stormi di avvocati che affilano le armi...


FONTI:  applemania.blogosfere.it

Yari e Aino: le altre novità di Sony Ericsson


Iniziamo da questo secondo terminale, poco più evoluto del fratello maggiore e dotato di schermo touch screen con tastiera slide a scomparsa nella parte inferiore. Si tratta di un modello music oriented GSM/UMTS con dimensioni di 104 x 50 x 15,5 mm. e con un peso di 134 grammi. Il display touch screen di tipo capacitivo da 3" è un TFT con risoluzione di 240 x 432 pixel a 16 milioni di colori.

Tra le sue dotazioni troviamo: accelerometro, tecnologie GPRS, EDGE e HSPA, connettività Bluetooth (A2DP), USB 2.0 e Wi-Fi, altoparlanti stereofonici, fotocamera da 8,1 megapixel con auto focus e flash a LED in gradi di realizzare video VGA a 30 frame al secondo, radio FM con RDS e lettore musicale, antenna GPS con A-GPS, gioco remoto con la PS3, immancabili YouTube e Facebook.

La memoria interna, di 55 MB, può essere espansa con schede di tipo microSDHC, ne viene fornita una da 8 GB. La batteria ai polimeri di litio da 1000 mAh, garantisce uno stand by di 380 ore, un tempo in conversazione di 13 ore e un tempo in riproduzione musicale di 31 ore. Anche questo modello arriverà per l’ultimo trimestre del 2009 nelle colorazioni Obsidian Black e Luminous White a un prezzo ancora non comunicato.

Chiude la trilogia dei nuovi nippo-svedesi il modello Yari, unico non touch screen, con dimensioni di 100 x 48 x 15,7 mm. e con un peso di 115 grammi. Si tratta di un telefono quand-band GSM/UMTS di form factor slide-up con display da 2,4" di tipo TFT con risoluzione di 240 x 320 pixel a 262144 colori. Tra le sue dotazioni troviamo: accelerometro, tecnologie GPRS, EDGE e HSDPA, connettività Bluetooth (A2DP) e USB 2.0, altoparlanti stereofonici, fotocamera da 5 megapixel con auto focus e flash a LED in gradi di realizzare video VGA a 30 frame al secondo, radio FM con RDS e lettore musicale, antenna GPS con A-GPS, applicazione YouTube.

La memoria interna, di 60 MB, può essere espansa con schede di tipo microSDHC, ne viene fornita una da 1 GB. La batteria ai polimeri di litio da 1000 mAh, garantisce uno stand by di 450 ore e un tempo in conversazione di 10 ore. Anche questo modello arriverà per l’ultimo trimestre del 2009 nelle colorazioni Achromatic Black, Cranberry White e non ne è ancora conosciuto il prezzo di vendita.

FONTI: CELLULARIADHOC.BLOGOSFERE.IT


Sono Otto le scritture antiche umane ancora mai decifrate !


Vi segnalo caldamente questo bellissimo articolo pubblicato oggi dal sito on line del corriere della Sera che riprende un meraviglioso speciale pubblicato dalla prestigiosa rivista New Scientist, nel quale si fa il punto sulle scritture antiche che ancora oggi resistono ad ogni interpretazione degli esperti e che rimangono dunque del tutto misteriose. Vi ripropongo l'articolo nella sua interezza.

Da quando è comparso sulla Terra l'uomo ha sempre sentito l'esigenza di trasmettere alle generazioni successive le conoscenze e l'esperienza acquisita nel tempo. La scrittura è certamente l'invenzione più importante per tramandare la storia. Senza la decifrazione dei linguaggi antichi oggi l'umanità avrebbe una cognizione molto limitata delle civiltà del passato. Secondo gli storici la prima scrittura a comparire sulla Terra è quella cuneiforme usata dai Sumeri: incise su tavolette di argilla le prime testimonianze risalgono al 3.000 a.C. Successivamente forme di scrittura apparvero in Egitto, quindi in Europa e via di seguito in Cina e in America del Sud. Benché molte scritture del passato siano state decifrate dagli storici, esistono ancora oggi linguaggi oscuri. Proprio a queste scritture ancora da decifrare la rivista inglese New Scientist dedica un lungo reportage individuando otto importanti grafie che restano ancora sconosciute all'umanità.

IL METODO UTILIZZATO - Per interpretare una scrittura del passato lo studioso deve poter contare sempre su due requisiti minimi: un'abbondanza di testi e reperti archeologi che aiutino a interpretare i linguaggi sconosciuti. L'umanità non avrebbe mai decifrato i geroglifici egiziani senza l'aiuto della Stele di Rosetta, la lastra in granito scuro scoperta nel 1822 in Egitto. Su questo reperto archeologico è incisa un'iscrizione in tre differenti grafie: geroglifico, demotico e greco antico. Attraverso la comparazione con il greco antico, idioma ben conosciuto dagli studiosi, questi riuscirono a comprendere le regole e i significati dei geroglifici egiziani. Oggi le scritture antiche ancora da decifrare si possono dividere in tre categorie: le scritture il cui alfabeto è stato decifrato ma non si è compresa la lingua; le scritture il cui alfabeto è incomprensibile ma di cui si conosce la lingua; scritture i cui alfabeto e linguaggio sono entrambi incomprensibili.

L'ETRUSCO E IL MEROITICO - La prima scrittura ancora da decifrare elencata dal New Scientist è quella etrusca. L'alfabeto è stato quasi completamente decifrato assieme a importanti aspetti della grammatica, ma l'interpretazione del linguaggio ancora oggi appare complessa e spesso incomprensibile. Ciò accade anche perché la maggior parte delle numerose iscrizione etrusche arrivate fino a noi (circa 10mila) sono per lo più scritti funerari e generalmente molto brevi. Inoltre, sebbene la scrittura assomigli molto al greco antico, vi sono sostanziali differenze. Prima di tutto le lettere etrusche si scrivono da destra a sinistra, nella direzione opposta a quella greca. Poi l'etrusco è una lingua che non deriva dall'indoeuropeo, ma proprio come l'odierna lingua basca non ha alcun legame con le grandi famiglie linguistiche dell'antichità. Stesso discorso per la seconda scrittura dell'elenco: l'alfabeto meroitico. Usato dagli abitanti del regno di Kush, civiltà che fiorì intorno all'800 a.C. nel Nord Africa, tra il sud dell'Egitto moderno e la parte settentrionale del Sudan, gli studiosi ne hanno decifrato l'alfabeto, ma non il linguaggio. Per quanto riguarda la scrittura, come per la lingua antica egiziana conosciamo due forme di grafia: la geroglifica, usata per lo più sui monumenti, e quella corsiva, usata nel commercio e nelle faccende quotidiane. Entrambe le forme di scrittura sono dotate di 23 segni che furono decifrati nel 1911 dall'egittologo e professore di Oxford Francis Llewellyn Griffith. Tuttavia il significato delle parole continua a essere sconosciuto e non ha alcuna somiglianza con nessuna delle lingue parlate nell'Africa subsahariana.

LINGUAGGI PRECOLOMBIANI - Tra le scritture ancora da decifrare elencate dal New Scientist compaiono anche un gruppo di grafie usate da civiltà precolombiane: l'olmeca, la zapoteca e la epi-olmeca. La prima scrittura fu usata dall'omonima civiltà vissuta tra il 1.500 A.C. e il 400 d.C. nell'odierno Messico centro-meridionale, a est dell'istmo di Tehuantepec. Fino a pochi anni fa si pensava che questa popolazione antica fosse analfabeta, ma nel 1990 è stato scoperto un blocco di pietra su cui compaiono iscrizioni che risalgono al 900 a.C. In tutto sono presenti circa 60 simboli, fino ad oggi non decifrati: secondo gli studiosi finché non saranno ritrovati altri reperti archeologici con gli stessi simboli sarà davvero difficile interpretare questi segni. Qualcosa in più sappiamo invece del linguaggio usato dalla civiltà zapoteca: questa fiorì nella Valla di Oaxaca circa 2.600 anni fa. Gli zapotechi usavano un tipo di scrittura a ideogrammi sillabici e le prime iscrizioni ritrovate risalgono al 600 a.C. e sono presenti su pareti dipinte, ma anche su vasi, ossa e gusci. Questa popolazione parlava un linguaggio che ancora oggi è usato da sparute popolazioni che vivono nel Centro America. Tuttavia gli studiosi non sono riusciti a ricostruire l'alfabeto usato da questa civiltà anche a causa delle estreme confusione e complessità dei linguaggi parlati dalle moderne popolazioni zapoteche. Infine vi è la grafia epi-olmeca. La prima traccia di questa scrittura risale al 1902, quando fu scoperta la statuetta di Tuxtla, una figura in nefrite risalente al II secolo d.C. La lingua parlata dalla popolazione che ideò questa scrittura è probabilmente una versione arcaica dello Zoche, idioma ancora oggi usato nell'Istmo di Tehuantepec. John Justeson e Terrence Kaufman, due studiosi americani, hanno proposto una decifrazione frammentaria di questa scrittura, ma finché non saranno trovati nuovi reperti sarà molto difficile avere un'interpretazione chiara.

DALLA LINEARE AL DISCO DI FESTO - Tra le scritture antiche ancora da decifrare una delle più famose è la "Lineare A". Scoperta insieme a un'altra scrittura antica, la Lineare B (decifrata nel 1952), dal celebre archeologo britannico Arthur Evans durante gli scavi a Creta nel 1900, questo alfabeto era usato sull'isola greca dalla civiltà micenea nel II millennio a.C. Composta da segni che vanno da sinistra verso destra e presente su diverse tavolette d'argilla, questa scrittura è tuttora indecifrata e poco comprensibile, sebbene abbia molti simboli in comune con la Lineare B. Segue la scrittura Rongo-Rongo (significa "canti") usata già dai primi abitanti dell'isola di Pasqua: essi sbarcarono sull'isola dell'Oceano Pacifico intorno al 300 d.C. Questa lingua antica è molto simile al Rapanui, l'odierno idioma parlato sull'isola di Pasqua, ma la scrittura è incomprensibile e complessa (si tratta di una grafia "bustrofedica", ovvero un sistema di segni che non ha una direzione fissa, ma che cambia senso continuamente). Sono arrivati fino a noi solo 25 iscrizioni in Rongo Rongo: la maggior parte di questi scritti sono incisi su pezzi di legno. Un'altra scrittura incomprensibile è quella "Indus", usata dalla civiltà che visse nella Valle dell'Indo tra il 2.500 e il 1.900 a.C. Purtroppo ci restano poche iscrizioni, presenti per lo più su vasi di ceramica e non vanno oltre i 5 caratteri. I segni conosciuti sono circa 400 e a causa della brevità delle iscrizioni non è stato possibile ancora decifrare questa scrittura. Le ultime due grafie storiche ancora da decifrare sono quella proto-elamica e la scrittura presente sul Disco di Festo. La prima è la più antica scrittura non-decifrata al mondo. Essa si sviluppò intorno al 3.000 a.C. assieme alla scrittura sumerica. Quest'ultima visse diversi secoli ed è stata in parte decifrata, mentre la scrittura proto-elamica si estinse dopo appena 150 anni dalla sua comparsa nella regione di Elam, antico nome biblico dato al territorio che oggi corrisponde alla parte sud-occidentale dell'Iran. Sappiamo davvero poco delle popolazioni che usavano questa scrittura. Ancora oggi restano oscuri sia i caratteri sia la lingua delle iscrizioni. La scrittura presente sul Disco di Festo è un insieme di simboli impressi con stampini incisi su entrambe le facciate del reperto archeologico. Scoperto nel 1908 dagli italiani Luigi Pernier e Federico Halbherr, mentre stavano scavando a Creta nel palazzo minoico di Festo, questo magnifico reperto risale al 1.700 a.C. ed è composto da 241 simboli: tutti i segni non sono stati ancora decifrati e non hanno nessuna somiglianza con le scritture conosciute del tempo.

Fonte: www.corriere.it


Dal 2 giugno su Canale 5 il telefilm “Mystere”


A partire dal 2 giugno 2009, alle ore 21:10, su Canale 5 verrà mandata in onda la prima serie del telefilm “Mystere”, che si occuperà anche di ufologia. La serie è di produzione francese e nel paese d’origine ha avuto un clamoroso successo di audience, circa il 40% di share. Lo sarà anche qui in Italia? Ecco cosa dice Wikipedia sul telefilm:

Mystère è una serie televisiva francese della durata di una stagione. La serie è un connubio di giallo, mistero, paranormale e fantascienza.

Trama

Un aereo di linea, il volo 173 della linea Parigi – Marsiglia sparisce e riappare dopo 20 minuti sulla stessa rotta.

Oltre venti anni dopo la protagonista, Laure de Lestrade, 27 anni, studentessa di matematica, è testimone di uno strano fenomeno. Sulla strada che da Lione va verso la Provenza, dove intende vendere la villa di famiglia, si ferma per osservare un cerchio nel grano. Mentre esplora il campo è vittima dell’aggressione di uno sconosciuto che ripete ossessivamente “Noi dobbiamo ritrovarci“.

Arrivata a destinazione, ritrova dei quaderni di quando era piccola: in questi quaderni c’è lo stesso disegno che ha appena visto nel campo e viene ripetuta ossessivamente la frase “Noi dobbiamo ritrovarci“.

A questo punto, con l’aiuto del fidanzato, il poliziotto Xavier Mayer, decide di capire cosa le sta succedendo. Scoprirà che molte persone che conosceva sono misteriosamente scomparse (la sua amica d’infanzia, il suo fidanzatino delle superiori) e che la madre, ella stessa scomparsa, è legata ai cerchi nel grano.

Sulla sua strada troverà coinvolto il padre, il generale Guillaume de Lestrade, che comanda una base segreta che studia i cerchi nel grano e li ritiene una minaccia aliena. Il fratellastro François de Lestrade, da sempre in conflitto con lei per l’attenzione del padre, lavora anch’egli alla base. Prima si metterà contro la sorella e poi contro il padre stesso. In suo aiuto interverranno solo la cognata, Érika de Lestrade, e la zia, Michèle Costa.

Alla base di tutto, uno strano impianto inserito nell’orecchio dei passeggeri del volo scomparso e le strane capacità dei figli di quei passeggeri.

In un continuo turbinare di eventi, rapimenti, apparizioni e sparizioni di personaggi, tutti si troveranno legati fra di loro in un piano per la salvezza di una razza aliena.

Curiosità

  • La società produttrice del telefilm si chiama Alma Production, la linea aerea il cui volo viene visitato dagli alieni si chiama Alma Air.
  • Nell’originale francese si usano le parole crop circle che viene subito tradotta con agroglyphe o cercle de culture. Nel doppiaggio italiano, per mantenere i movimenti labiali degli attori, spesso si sentono frasi buffe come “il fenomeno dei cerchi nel grano: si tratta dicerchi nel grano.”
FONTE: centro ufologico di taranto

Terremoti che scuotono il cosmo

Gli intensi brillamenti che provengono a volte dalle magnetar, stelle a neutroni dotate di intensi campi magnetici, sarebbero legati al collasso di "montagne" alla loro superficie

Le stelle di neutroni potrebbero essere una chiave per comprendere alcuni degli aspetti dell'universo che ancora ci sfuggono, come quelli relativi alle onde gravitazionali e ai meccanismi sottostanti ai giganteschi brillamenti che provengono a volte dalle magnetar, stelle di neutroni dotate di un campo magnetico particolarmente intenso.

A parte i buchi neri, le stelle di neutroni sono gli oggetti più densi del cosmo: un cucchiaino da tè di una stella a neutroni peserebbe un centinaio di milioni di tonnellate. Ora due ricercatori, Charles Horowitz, dell'Università dell'Indiana a Bloomington e Kai Kadau, del Los Alamos National Laboratory (LANL), hanno sviluppato un modello di dinamica molecolare per simulare il comportamento delle stelle a neutroni, alla cui superficie vi sarebbe una vera e propria "crosta" con tanto di protuberanze o "montagne": Il modello è illustrato in un articolo ("Breaking Strain of Neutron Star Crust and Gravitational Waves") pubblicato sulle "Physical Review Letters".

Grazie ai supercalcolatori del LANL, spiega Horowitz, "abbiamo modellizzato una piccola regione della crosta di una stella di neutroni seguendo il moto individuale di 12 milioni di particelle. In particolare, la simulazione di Horowitz e Kadau mostra come la crosta della stella sia verosimilmente costituita da ioni: "è più o meno composta da atomi normali, ma ionizzati. La pressione della stella è così elevata da 'strizzare' gli elettroni e creare degli ioni; abbiamo quindi calcolato come la crosta si deforma e alla fine si rompe sotto l'estremo peso di una 'montagna' sulla stella di neutroni".

La rottura della crosta sarebbe d'altra parte legata alla produzione dei brillamenti. Secondo il modello, le "montagne" che si formano su queste stelle in rapida rotazione e il loro crollo generano intense onde gravitazionali: "Se riuscissimo a comprendere meglio come ciò avviene, potremmo essere in grado di formulare previsioni migliori su quali stelle a neutroni produrranno probabilmente le onde gravitazionali più forti. Dando agli scienziati un buon posto da tenere sotto osservazione".

"Nel 2004, è stato rilevato un brillamento gigante proveniente da una magnetar: si trattava di una quantità enorme di energia", ha osservato Horowitz. "Un brillamento di questo tipo è possibile solo se nel momento in cui la crosta si spezza c'era un'energia enorme immagazzinata nella crosta e nel campo magnetico: identificare effettivamente queste onde rappresenterebbe una grandissima scoperta e una conferma della relatività generale, e il nostro modello può essere d'aiuto in questo senso."
fonte-lescienze.espresso.repubblica.it

sabato 30 maggio 2009

Carlos Barrios: un nuovo punto di vista sul 2012 e la profezia dei Maya.



Carlos Barrios è nato da una famiglia spagnola a El Altiplano, in Guatemala. E' un antropologo, autore del libro intitolato, in spagnolo "Kam Wuj: El Libro Del Destino", che ha avuto un enorme successo e sta per essere tradotto e pubblicato in inglese.
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Barrios abita Huehuetenango, anche dimora dei Maya, la tribù di Mam. Con altri Maya ed altri depositari di tradizione, i Mam trasferiscono parte delle tradizioni maya, vengono considerati custodi del tempo, autorità in merito a ragguardevoli calendari che sono antichi, eleganti, e rilevanti.

Barrios è uno storico, un antropologo ed un indagatore. Dopo aver studiato per 25 anni con gli "anziani della tradizione", dall'età di 19 anni, è anche diventato un Ajq'ij della tradizione Maya: un prete cerimoniere e guida spirituale, del Clan dell'Aquila. Anni fa, con suo fratello Gerardo, Carlos iniziò una ricerca nei vari calendari Maya. Ha studiato con molti insegnanti. Dice che suo fratello Gerardo ha intervistato quasi 600 "anziani" della tradizione Maya, perché potessero cosi ampliare lo spazio della loro conoscenza.

"Gli antropologi visitano i luoghi dei templi," -dice Mr. Barrios- " e leggono le iscrizioni e inventano storie sui Maya, ma non leggono i segni correttamente. E' solo la loro immaginazione. Altri scrivono una profezia in nome dei Maya. Dicono che il mondo finirà nel dicembre 2012 . Per questo gli "anziani" Maya sono arrabbiati. Il mondo non finirà, ma sarà trasformato". Gli indigeni hanno i calendari e loro sanno come interpretarli accuratamente, non gli altri. La comprensione del tempo dei calendari Maya, la comprensione delle stagioni e dei cicli ha dimostrato in sè di essere vasta e sofisticata. I Maya comprendono 17 diversi calendari, alcuni di loro rappresentano il tempo in modo accurato per un lasso di tempo che va oltre 10 milioni di anni. Il calendario che dal 1987 sta attirando globalmente e costantemente attenzione, viene chiamato Tzolk'in o Cholq'ij. Progettato epoche fa e basato sui cicli delle Pleiadi è tutt'ora considerato sacro.

Con i calendari indigeni, I nativi hanno mantenuto traccia di importanti punti di svolta nella storia. Per esempio i "custodi del giorno" che studiano i calendari, identificarono un giorno importante nell'anno One Reed (Giunco Uno), Ce Acatal, come era chiamato dai Messicani. Quello fu il giorno in cui si profetizzò che sarebbe ritornato un antenato importante e che sarebbe venuto come una "farfalla". Nel calendario occidentale, quella data corrisponde alla domenica di Pasqua del 21 aprile 1519, il giorno in cui Hernando Cortez e la sua flotta di 11 galeoni spagnoli, arrivò dall'est al luogo che oggi chiamiamo Vera Cruz, in Mexico.

Quando le navi spagnole arrivarono a riva, i nativi stavano attendendo ed osservando per vedere come sarebbe andata. Le vele ondeggianti delle navi, effettivamente ricordano l'agitarsi delle farfalle a pelo d'acqua. In questo modo ebbe inizio una nuova era, un'era che avevano anticipato con i loro calendari I Maya chiamarono la nuova era i 9 Bolomtikus, o i 9 Inferni di 52 anni ciascuno. Mentre il nuovo ciclo si apriva, i nativi furono privati di libertà e territori. Dominarono malattia e mancanza di rispetto. Ciò che iniziò con l'arrivo di Cortez, durò fino al 16 agosto 1987 - una data che molti ricordano come "Convergenza Armonica".

Milioni di persone trassero vantaggio da quella data per fare cerimonie in luoghi sacri, pregando per una dolce transizione ad una nuova era, il Mondo del 5° Sole. Dal 1987 ad ora, dice Mr. Barrios, siamo in un tempo in cui il braccio destro del mondo materialistico sta scomparendo, lentamente ma inesorabilmente. Siamo alla cuspide dell'era in cui la pace inizia e le persone vivono in armonia con la Madre Terra.

Non siamo più nel mondo del 4° Sole, ma nemmeno già in quello del 5° Sole. Questo è il tempo di mezzo, il tempo della transizione e mentre la attraversiamo c'è una convergenza colossale e globale di distruzione ambientale, di caos sociale, di guerra e di costanti cambiamenti della Terra.
Tutto questo, dice Mr. Barrios, fu previsto attraverso la semplice matematica a spirale dei calendari Maya. "Cambierà," osserva Mr. Barrios. "Ogni cosa cambierà " .

Egli dice che i Custodi Maya del Tempo vedono il 21 Dicembre 2012 come una rinascita, l'inizio del mondo del 5° Sole. Sarà l'inizio di una nuova era che deriverà dal fatto che il meridiano del sole attraverserà l'equatore galattico e la Terra si allineerà con il centro della galassia. All'alba del 21 Dicembre 2012, per la prima volta in 26.000 anni, il Sole sorgerà per congiungersi all'intersecazione con la Via Lattea e il piano dell'ellittica Questa croce cosmica è considerate l'impersonificazione dell'Albero Sacro, l'Albero della Vita: un albero ricordato in tutte le tradizioni spirituali del mondo. Alcuni osservatori dicono che questo allineamento con il cuore della galassia, nel 2012, aprirà un canale di energia cosmica, perché possa fluire sulla terra, pulendola e purificando tutti coloro che vi abitano sopra, elevando tutto ad un livello superiore di vibrazione. Questo processo è già cominciato, dice Mr. Barrios. "Il cambiamento sta accelerandosi e continuerà a farlo. Se le persone della Terra potranno arrivare a questo 2012 in buona forma, senza avere distrutto troppo della Terra - dice Mr.Barrios - ci eleveremo ad un nuovo livello. Ma per arrivarci, dobbiamo trasformare enormi e potenti forze che cercano di bloccare la via.
Fonte -ingridnaiman.com

Scoperto come funziona il «pilota automatico» che abbiamo nel cervello

Onde cerebrali «sincronizzano» alcune aree nervose con la vista e ci consentono di compiere azioni che richiedono estrema precisione anche quando siamo distratti
MILANO – Come è possibile che in una frazione di secondo passiamo dal cantare a squarciagola l’ultima hit che sta riproducendo la nostra autoradio allo scorgere con la coda dell’occhio un cartello che indica il senso vietato o il rosso di un semaforo che ci intima di fermarci? Hanno provato a spiegarlo i ricercatori del MIT sull’ultimo numero di Science.

OCCHI E CERVELLO – Ogni istante una quantità impressionante di informazioni visive colpisce i nostri occhi, ma nella maggior parte dei casi siamo in grado di concentraci solo sui dettagli di nostro interesse. Per restare nella metafora automobilistica, quando ci troviamo in un luogo sconosciuto e siamo sprovvisti di GPS l’attenzione si rivolge principalmente ai cartelli stradali e alle possibili fonti di indicazione, tralasciando qualsiasi elemento di contesto, come potrebbero essere gli alberi sul ciglio della strada, la spazzatura sui marciapiedi o i pedoni che ci passano a fianco. Alcuni scienziati del Massachusetts Institute of Technology hanno scoperto che questo indirizzamento dell’attenzione dipende da onde cerebrali ad alta frequenza che interconnettono il centro di controllo del cervello al centro visivo. Finora, infatti, era risaputo che all’interno del processo di concentrazione un ruolo importante fosse giocato dalla corteccia prefrontale, ma le conoscenze su come questa agisse erano ancora scarse, dal momento che è situata agli antipodi del cervello rispetto al centro di controllo della vista. Ora, grazie allo studio condotto dal neuroscienziato Robert Desimone, si è scoperta una perfetta sincronia tra il sistema sensoriale e quello cerebrale.

STIMOLAZIONI SINCRONIZZATE – La ricerca è partita dall’analisi dell’attività neuronale di due scimmie, concentrate nella visualizzazione di un’immagine sullo schermo di un PC. Come si aspettavano, gli scienziati hanno osservato che la stimolazione dei neuroni dell’area visiva produceva segnali elettrici sincronici. Ciò che invece ha colto tutti di sorpresa, è stata la scoperta dell’attività di alcuni neuroni della corteccia prefrontale con la stessa identica frequenza. Ad un’analisi più approfondita, si è scoperto che la trasmissione del segnale aveva inizio proprio da questa regione centrale e solo dopo una decina di millisecondi veniva emulata dall’attivazione dei neuroni della corteccia visiva: il tempo, dunque, che le onde ad alta frequenza mettessero in comunicazione le due regioni per consentire un’azione in perfetta sincronia. In conclusione, sono i neuroni nella corteccia prefrontale a governare l’attivazione di quelli nella regione visiva cosicché l’attenzione possa essere interamente indirizzata sull’immagine che richiede particolare concentrazione.

PROSPETTIVE – Il deterioramento e l’indebolimento della corteccia prefrontale sono associati alla schizofrenia, a deficit di attenzione e ad iperattività. Grazie alla scoperta del MIT, dunque, gli studi su queste malattie del disordine potrebbero trovare nuova linfa e giungere a conclusioni e soluzioni finora impensabili.
fonte-www.corriere.it

Tra tre settimane la NASA torna sulla Luna !


La Nasa ha annunciato per il 17 giugno il lancio della sonda "Lunar reconnaissance orbiter" (Lro) e del satellite "Lunar crater observation and sensing atellite" (Lcross) , a bordo del razzo Atlas V, dalla base di Cape Canaveral, in Florida.

Si tratta di due missioni che segnano il ritorno sulla Luna della Nasa. "L'obiettivo - ha spiegato Mike Wargo, responsabile delle missioni lunari dell'agenzia spaziale Usa - e' acquisire informazioni per ricominciare ad esplorare il pianeta".

La Nasa utilizzera' Lro per creare mappe ad alta risoluzione e tridimensionali della superficie lunare e per studiare gli effetti che le radiazioni ambientali della Luna possono avere sugli umani. Centaur, l'ultimo stadio del vettore Atlas V, andra' a impattare con un cratere lunare, liberando detriti che saranno rilevati dal satellite Lcross, il quale a sua volta impattera' in un'altra regione del cratere: i detriti saranno analizzati da Hubble e da altri telescopi spaziali, con l'obiettivo di verificare la presenza nel sottosuolo di depositi di acqua ghiacciata.
fonte- il sole 24 ore

venerdì 29 maggio 2009

Un fantasma intorno al buco nero

È ciò che rimane dopo che radiazioni zampillate dal corpo celeste sono scomparse



MILANO - C’è un fantasma intorno a un buco nero. Lo hanno proprio chiamato così, «fantasma cosmico», gli astronomi americani che l’hanno scoperto grazie al satellite Chandra della Nasa. Ed è la prima volta che viene avvistato un fenomeno del genere attorno a un «mostro» del cielo. Il fantasma è ciò che rimane dopo che altre radiazioni zampillate dal buco nero sono scomparse. Per questo esso testimonia un’imponente eruzione prodotta dal buco nero offrendo la possibilità agli scienziati di indagare quanto è accaduto in un tempo lontano quando l’universo era ancora molto giovane.

FORMA DI SIGARO - Il fantasma che ha la vaga forma di un sigaro lungo poco più di due milioni di anni luce, si mostra come una sorgente azzurra ripresa dal satellite (specializzato nel cogliere la radiazione X). Battezzato HDF 130 si trova a circa 10 miliardi di anni luce dalla Terra e la sua origine risale a tre miliardi di anni dopo il Big Bang quando stelle e galassie si formavano a grande ritmo. La potenza dell’eruzione è calcolata pari a miliardi di supernovae (che sono le esplosioni degli astri alla fine della loro vita) . Essa produceva grandi quantità di onde radio e radiazioni X, ma le prime si disperdevano e gli elettroni meno energetici interagendo con il mare di fotoni rimasti dopo il big bang producevano raggi X. EMISSIONE RADIO - “Il fantasma ci racconta che l’eruzione è avvenuta dopo molto tempo la creazione del buco nero” spiega Scott Chapman della Cambridge University. Altri fenomeni del genere erano stati prima osservati solo provenienti dalle galassie. Nel fantasma HDF 130 è stato rilevato un solo punto emittente in radio e questa è la “firma” della presenza di buco nero supermassiccio.

fonte-www.corriere.it

Astronauti fotografano misteriosi “cerchi nel ghiaccio” in Siberia





Questo strano, quasi perfetto “cerchio nel ghiaccio” è apparso su un lago ghiacciato in Siberia. Mentre gli scienziati hanno escluso un coinvolgimento di un UFO, sono comunque perplessi su come si sia potuto formare questo misterioso fenomeno geologico, di circa 2.5 miglia, sul lago Baikal.


E’ stato notato su lato meridionale del lago, mentre un altro è stato visto in prossimità del centro del lago stesso. Le immagini sono state scattate dagli astronauti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, in orbita a circa 220 miglia sopra la Terra. Sono stati fatti del calcoli progressivi dalla prima apparizione dei cerchi, in un periodo che va dal giorno 5 aprile 2009 al giorno 27 aprile 2009, quando il ghiaccio comincia a dividersi. “In tutto il mese di aprile i cerchi sono persistenti“, riferisce un portavoce NASA, “essi appaiono quando il ghiaccio incomincia a coprire le zone circostanti e scompaiono quando il ghiaccio si scioglie. L’aspetto e il modello suggeriscono che il ghiaccio è molto sottile“. La copertura del ghiaccio cambia repentinamente in questo periodo dell’anno, quando il lago russo si scioglie di ghiaccio e si congela durante la notte. Gli scienziati ritengono che uno schizzo d’acqua calda sia salito in superficie, creando poi la forma caratteristica del “cerchio”, ma sono perplessi per quanto concerne la fonte di calore.
Alti flussi e attività idrotermali sono state osservate in altre parti del lago, ma uno dei cerchi è apparso in prossimità della punta meridionale, dove le acque sono più fredde, perchè relativamente profonde. Il lago Baikal è nella Rift Valley ed è il più grande (in volume) e più profondo (5.400 metri) lago d’acqua dolce del mondo. Il sito Patrimonio Mondiale è anche uno dei laghi più antichi del mondo, con un età compresa tra i 25 e 30 milioni di anni. I sedimenti si sono depositati sul fondo fino ad una profondità di 4,3 miglia. Il lago contiene rare foche e diverse specie di pesci che non si trovano in nessun altro lago della Terra.

FONTE-centroufologicotaranto.wordpress.com/span>

Enigmi ancora da decifrare




La decifrazione delle lingue antiche è estremamente importante. Senza quest'opera paziente e per molti versi oscura, non sarebbe possibile, ai moderni, conoscere gran parte delle civiltà che quelle lingue hanno prodotto. E non sarebbe possibile, parimenti, conoscere le opere che queste civiltà hanno creato.
Secondo gli storici la prima scrittura ad aver fatto la sua comparsa sulla terra è la cuneiforme, utilizzata dai Sumeri nel 3000 a.C..
Successivamente la scrittura apparve in Europa, in Cina ed in America del sud.
Sebbene la maggior parte delle scritture siano state decifrate, esistono tuttoggi dei linguaggi che rimangono pressocchè oscuri, per gli studiosi. L'interpretazione di una scrittura richiede innanzitutto l'abbondanza dei testi e reperti che supportino gli studiosi.
Oggi le scritture antiche non ancora decifrate si distinguono tra scritture il cui alfabeto è stato decifrato ma non si è compresa la lingua; scritture il cui alfabeto è incomprensibile ma di cui si conosce la lingua; scritture il cui alfabeto e linguaggio sono entrambi incomprensibili.
La prima scrittura ancora da decifrare è quella etrusca. L'alfabeto si conosce e sono noti anche importanti aspetti della grammatica, ma l'interpretazione del linguaggio è tuttoggi incomprensibile. La maggior parte delle iscrizioni etrusche, infatti, sono per lo più di carattere funerario e molto brevi. L'etrusco non è una lingua indoeuropea, come la lingua basca, e non ha alcun legame con le altre grandi famiglie linguistiche dell'antichità.
Un discorso analogo si può fare per l'alfabeto meroitico, anch'esso sconosciuto, utilizzato dagli abitanti del regno di Kush, che ebbe la sua massima fioritura nell'800 a.C. nel nord Africa, tra il sud del moderno stato egiziano e la parte settentrionale del Sudan. Gli studiosi hanno decifrato l'alfabeto meroitico ma non ne conoscono il linguaggio. Del meroitico esistono due tipi di grafia, come per l'egiziano: la geroglifica, utilizzata sui monumenti, e la corsiva, per la vita di tutti i giorni ed i rapporti commerciali. Entrambe le scritture possiedono 23 segni decifrati, nel 1911, dall'egittologo Francis Llewellyn Griffith, ma il significato delle parole continua ad essere un enigma.
Tra le scritture che continuano a serbare misteri per gli studiosi vi sono un gruppo di grafie utilizzate da civiltà precolombiane: l'olmeca, la zapoteca e la epi-olmeca. La prima scrittura fu utilizzata dall'omonima civiltà tra il 1500 a.C. ed il 400 d.C. nell'attuale Messico centro meridionale. Nel 1990 è stato scoperto un blocco di pietra su cui compaiono iscrizioni che risalgono al 900 a.C.. La scrittura olmeca comprende 60 simboli che non sono stati decifrati.
Qualcosa di più si sa del linguaggio utilizzato dagli zapotechi, che abitarono la Valle di Oaxaca circa 2600 a.C. e che si servivano di una scrittura ad ideogrammi sillabici. Le prime iscrizioni appartengono al 600 a.C. e sono presenti su pareti dipinte, su vasi, ossa e gusci. Questa popolazione parlava un linguaggio che è tuttora usato da sparute popolazioni che vivono nel Centro America. Gli studiosi, malgrado questo, non sono riusciti a ricostruire l'alfabeto usato da queste civiltà, a causa della confusione e della complessità delle lingue paralte dalle moderne popolazioni zapoteche.
La scoperta di una grafia pre-olmeca risale al 1902, quando fu scoperta la statuetta di Tuxtla, una f igura in nefrite del II secolo d.C.
Tra le scritture antiche ancora da decifrare una delle più famose è la Lineare A. Scoperta insieme a un'altra scrittura antica, la Lineare B (decifrata nel 1952), dal celebre archeologo britannico Arthur Evans durante gli scavi a Creta nel 1900, questo alfabeto era usato sull'isola greca dalla civiltà micenea nel II millennio a.C. La scrittura è composta da segni che vanno da sinistra verso destra e presente su diverse tavolette d'argilla, ed è tuttora indecifrata e poco comprensibile, sebbene abbia molti simboli in comune con la Lineare B.
Segue la scrittura Rongo-Rongo (significa "canti") usata già dai primi abitanti dell'isola di Pasqua: essi sbarcarono sull’isola dell'Oceano Pacifico intorno al 300 d.C. Questa lingua antica è molto simile al Rapanui, l'odierno idioma parlato sull'isola, ma la scrittura è incomprensibile e complessa (si tratta di una grafia "bustrofedica", ovvero un sistema di segni che non ha una direzione fissa, ma che cambia senso continuamente). Sono arrivati fino a noi solo 25 iscrizioni in Rongo Rongo: la maggior parte di questi scritti sono incisi su pezzi di legno. Altra scrittura incomprensibile è quella Indus, usata dalla civiltà che visse nella Valle dell'Indo tra il 2.500 e il 1.900 a.C. Purtroppo ci restano poche iscrizioni, presenti per lo più su vasi di ceramica e non vanno oltre i 5 caratteri. I segni conosciuti sono circa 400 e a causa della brevità delle iscrizioni non è stato possibile ancora decifrare questa scrittura.
Le ultime due grafie storiche ancora da decifrare sono quella proto-elamica e la scrittura presente sul Disco di Festo. La prima è la più antica scrittura non-decifrata al mondo. Essa si sviluppò intorno al 3000 a.C. assieme alla scrittura sumerica. Quest'ultima visse diversi secoli ed è stata in parte decifrata, mentre la scrittura proto-elamica si estinse dopo appena 150 anni dalla sua comparsa nella regione di Elam, antico nome biblico dato al territorio che oggi corrisponde alla parte sud-occidentale dell'Iran. Sappiamo davvero poco delle popolazioni che usavano questa scrittura. Ancora oggi restano oscuri sia i caratteri sia la lingua delle iscrizioni. La scrittura presente sul Disco di Festo è un insieme di simboli impressi con stampini incisi su entrambe le facciate del reperto archeologico. Scoperto nel 1908 dagli italiani Luigi Pernier e Federico Halbherr, mentre stavano scavando a Creta nel palazzo minoico di Festo, questo magnifico reperto risale al 1700 a.C. ed è composto da 241 simboli: tutti i segni non sono stati ancora decifrati e non hanno nessuna somiglianza con le scritture conosciute del tempo.
fonte-oltrelanotte.splinder.com

Un topo (quasi) "parlante"

Topi geneticamente modificati per avere il gene FOXP2 simile a quello umano, hanno acquisito una più fine capacità di controllo delle proprie emissioni vocali 

Non possono certo parlare, ma topi ingegnerizzati per avere una "versione umanizzata" di un gene hanno molto da dire sul processo evolutivo che ha portato la nostra specie a padroneggiare il linguaggio parlato. E' questa la conclusione di una ricerca condotta presso il Max-Planck-Institut per l'antropologia evoluzionistica, di cui viene riferito in un articolo pubblicato su "Cell". 

"Con questo studio possiamo intravedere che i topi possono essere utilizzati non solo per studiare le malattie, ma anche la nostra storia", ha detto Wolfgang Enard, che ha diretto la ricerca.

Il gruppo di lavoro di Enard si dedica in primo luogo allo studio delle differenze genetiche fra l'essere umano e gli altri primati. Una differenza importante fra uomo e scimpanzé che i ricercatori hanno osservato riguarda la sostituzione di due amminoacidi nel gene FOXP2. Questi cambiamenti si sono stabiliti dopo che la linea filogenetica dell'uomo si è separata da quella dello scimpanzé: i primi studi avevano messo in evidenza che quel gene era stato oggetto di selezione positiva, inducendo i ricercatori a ritenere anche che quel cambiamento evolutivo fosse in relazione a qualche significativo aspetto della capacità di parlare e del linguaggio. 

"I cambiamenti in FOXP2 sono avvenuti nel corso dell'evoluzione umana e sono i migliori candidati a spiegare perché possiamo parlare. La sfida è quella di studiarli dal punto di vista funzionale", ha osservato Enard, che ha sottolineato come per ragioni ovvie ciò non sia fattibile sull'uomo, ma neppure sullo scimpanzé. 

Nello studio in questione, i ricercatori hanno così introdotto quelle due sostituzioni nel gene FOXP2 del topo, dato che la versione murina di quel gene è sostanzialmente identica a quella dello scimpanzé, una circostanza che rende plausibile che essa rappresenti anche un modello ragionevole della forma ancestrale della versione umana del gene. 

Dall'analisi del risultato di questa operazione i ricercatori hanno così potuto rilevare che i topi con la versione umana di FOXP2 mostrano cambiamenti in quei circuiti cerebrali che nell'uomo si sanno essere in relazione con la capacità di parlare. I topi geneticamente modificati mostrano anche differenze qualitative nelle vocalizzazioni che essi emettono quando vengono collocati al di fuori della loro tana originaria. Tuttavia, osserva Enard, sappiamo ancora tropo poco sulla comunicazione nel topo per poter dire che cosa possano significare esattamente questi cambiamenti. 

Anche se FoxP2 è attivo in molti altri tessuti, la versione alterata non sembra comportare altri effetti sui topi, che sono apparsi in buona salute. 

Queste differenze, osservano i ricercatori, aprono uno squarcio sull'evoluzione della capacità cerebrale di parlare e del linguaggio: ora gli scienziati cercheranno di approfondire i meccanismi molecolari alla base degli effetti del gene e la loro possibile relazione con le differenze fra uomo e grandi scimmie. 

"Al momento possiamo solo speculare sul ruolo che questi effetti possono avere avuto nel corso dell'evoluzione umana. Tuttavia, dato che i pazienti portatori di una versione non funzionale di un allele del gene FOXP2 mostrano difficoltà nella temporizzazione e nella giusta messa in sequenza dei movimenti orofacciali, è possibile che le sostituzioni in FOXP2 abbiano contribuito alla calibrazione fine del controllo motorio necessario all'articolazione del parlato, ossia alla capacità unica dell'uomo a imparare a coordinare i movimenti muscolari nei polmoni, nella laringe e nelle labbra che sono necessari per parlare. Siamo fiduciosi che studi coordinati sul topo, su altri primati e sull'uomo alla fine chiariranno se è effettivamente così", ha concluso Enard. (gg)

FONTE: http://lescienze.espresso.repubblica.it/

Per un nuovo modello del mantello terrestre

Sia lo strato superiore sia quello inferiore sono coinvolti nella convezione, anche se in misura e con modalità differenti
Una nuova ricerca pubblicata sulle pagine della rivista “Nature” affronta un'annosa questione delle scienze della Terra: come conciliare gli attuali modelli convettivi del mantello terrestre con la presenza di antichi gas nobili nelle rocce vulcaniche.
Un gruppo di ricerca frutto della collaborazione tra la Rice University e l'Harvard University ha infatti sviluppato un nuovo modello per spiegare in che modo elio, neon e argon vengano persi dall'interno della Terra durante la convezione del mantello.

"Secondo la maggior parte dei modelli esistenti, la convezione avrebbe dovuto depauperare ampiamente il mantello di gas nobili, a meno che parte o tutto del mantello inferiore sia rimasto in qualche misura isolato”, ha commentato Helge Gonnermann, docente di scienze della Terra della Rice. "Così siamo andati a verificare se ci potesse essere un meccanismo in grado di preservare gli antichi gas nobili nel mantello inferiore senza con ciò mettere in forse lo schema complessivo della convezione.”

L'elio-3, per esempio, non può essere creato da alcun processo all'interno della Terra, e si ritiene perciò che tutto quello che si osserva di questo isotopo sia ciò che resta della formazione planetaria. Pertanto, via via che i cicli convettivi si susseguono, i geochimici si aspettano di rilevare sempre meno elio-3: è infatti ciò che si riscontra nella maggior parte dei basalti che si formano dalla lava che fuoriesce dalle dorsali oceaniche, a parte alcune eccezioni rilevate nelle Hawaii e in altre isole.

Il nuovo modello prevede che sia il mantello superiore sia quello inferiore siano coinvolti nella convezione, anche se in misura e con modalità differenti: mentre il mantello superiore è stato ampiamente degassificato per via di diversi cicli tettonici, la parte inferiore ha subito all'incirca un solo riciclo negli ultimi 4,5 miliardi di anni.
Il continuo mescolamento delle placche di subduzione nel mantello inferiore ha avuto come effetto la diluizione della concentrazione degli antichi gas nobili, che in tal modo vengono estratti in quantità sempre minori. Di conseguenza, circa il 40 per cento dell'antico elio-3 può essere presente nel mantello inferiore, sebbene quest'ultimo possa aver subito un solo ciclo tettonico.

"Contrariamente alla visione convenzionale, secondo cui il ciclo tettonico del mantello inferiore avrebbe dovuto produrre un notevole mescolamento tra la parte inferiore e quella superiore del mantello, cancellando le differenze nella concentrazione dell'elio-3, abbiamo riscontrato che il ciclo del mantello inferiore praticamente bypassa quello superiore”, hanno spiegato i ricercatori. "I processi di subduzione e il mescolamento nel mantello inferiore sono bilanciati dai pennacchi ricchi di elio-3, che provengono dal mantello inferiore, ricchi di elio-3, senza moscoalrsi in modo significativo mentre attraversano il mantello superiore.”


L'estinzione di massa di 260 milioni di anni fa

L'immissione di biossido di zolfo in atmosfera avrebbe portato a una massiccia produzione di piogge acide

Circa 260 milioni di anni fa, un'eruzione vulcanica gigante innescò un'estinzione di massa globale ora scoperta dai ricercatori dell'Università di Leeds, nel Regno Unito.

L'eruzione avvenne nell'attuale provincia di Emeishan, nel sud-ovest della Cina, e liberò circa mezzo milione di chilometri cubi di lava che si riversarono nell'ampia regione circostante, finendo per cancellare gran parte della vita marina in tutto il mondo.

A differenza di ciò che succede di solito, i ricercatori sono riusciti a individuare l'epoca esatta dell'eruzione e della successiva estinzione di massa a essa legata perché la lava fuoriuscita appare oggi come un ben distinto strato di roccia ignea tra due strati di roccia sedimentaria contenente fossili marini databili in modo agevole. Lo strato di roccia fossilizzata appena dopo l'epoca dell'eruzione mostra la presenza di forme di vita completamente differenti dalle precedenti, suggerendo il verificarsi di un'eruzione seguita da una catastrofe ambientale di ampie proporzioni.

Una circostanza cruciale è che l'eruzione avvenne vicino ad acque poco profonde: in tali casi, il contatto tra la lava che fluisce velocemente e l'acqua determina una violenta esplosione che porta enorme quantità di biossido di zolfo nella stratosfera.

"Quando la lava poco viscosa incontra l'acqua marina, l'effetto è come quello dell'acqua buttata in una padella di olio bollente: l'esplosione produce un'enorme quantità di vapore”, ha commentato Paul Wignall, palaeontologo dell'Università di Leeds e primo autore dell'articolo pubblicato sulla rivista “Science”.

L'immissione di biossido di zolfo nell'atmosfera avrebbe poi portato a una massiccia produzione di nuvole, propagatesi poi in tutto il mondo, da cui poi derivarono torrenziali piogge acide.

"L'improvvisa estinzione di vita marina che possiamo chiaramente vedere nelle registrazioni fossili è legata all'eruzione vulcanica, con una correlazione che spesso è stata giudicata controversa”, ha concluso il ricercatore. (fc)

FONTI: http://lescienze.espresso.repubblica.it/

Nuovi interessanti documenti su Gliese581d...ovvero la nuova possibile Terra 2!

Scritto da Matteo Zanoni   

Se poi fosse fatta interamente di oceani, fra le ipotesi, sarebbe veramente impressionante da immaginare....solo acqua...

allego un paio di interessanti collegamenti a documenti in pdf sullo studio dei pianeti extrasolari e di Gliese581d in particolare...il primo documento contiene peraltro fotografie e grafiche molto belle.

Ciao!

 

Matteo Zanoni "Dabeast"

 

http://www.eso.org/public/outreach/products/publ/brochures/pdf/exoplanet_lowres.pdf

http://www.exoplanets.ch/Gl581_preprint.pdf

 

tratto da "www.lestelle-astronomia.it"

Articolo di base a cui sono allegati i documenti:

Scoperta una Terra-2. Ma è un po’ troppo calda 
Ci siamo! “Terra, Terra!” Non è il grido dei marinai di Cristoforo 
Colombo ma di Michel Mayor (foto), l’astronomo 
dell’Osservatorio di Ginevra che per primo, 
nel 1995, individuò un pianeta extra-solare, 
intorno alla stella 51 Pegasi. Il clamoroso
 annuncio viene dall’Eso, l’Osservatorio 
australe europeo: intorno alla stella Gliese 581
 orbita un pianeta roccioso che ha probabilmente una massa 
soltanto doppia di quella terrestre. Nel corso della ricerca è 
stata anche ridefinita l’orbita di un altro pianeta già conosciuto
 della stessa stella, Gliese 581d, e risulta che questo pianeta 
si trova nella regione “abitabile”, cioè a una distanza dal suo
 sole che permette l’esistenza di acqua allo stato liquido.
 Il nuovo pianeta, indicato come “Gliese 581e”, 
è stato individuato con ragionevole certezza dopo
 più di quattro anni di ricerche con lo spettrografo Harps
 collegato al telescopio da 3,6 metri di La Silla, sulle Ande del Cile.
 Qualche particolare.

Gliese 581 è una stella della costellazione della Libra (Bilancia) 

a 20,5 anni luce da noi. Con una massa stimata di 1,9 Terre è 

il pianeta più “leggero” che finora sia stato scoperto. Quello di 

Gliese 581 ci appare come una vera e propria replica del nostro

 sistema solare. Sono infatti quattro i pianeti finora noti. 

In ordine di distanza questi pianeti e in unità di massa terrestre

 hanno masse di 1,9 (pianeta e), 16 (b), 5 (c) e 7 (d) masse terrestri. 

E’ la prima volta che gli astronomi riescono a scoprire pianeti

 con caratteristiche così vicine a quelle di un pianeta in grado 

di ospitare la vita. Se si potessero unire in un solo oggetto 

la piccola massa di Gliese 581e e la temperatura di Gliese 581d, 

avremmo una copia quasi fedele della Terra. Purtroppo il piccolo 

pianeta roccioso è invece troppo vicino alla sua stella, 

intorno alla quale orbita in appena 3 giorni e due ore. 

Per essere precisi, quindi, il grido dovrebbe essere: “Quasi Terra!”.

Tratto da "www.lestelle-astronomia.it"

Nei geni i segreti dello stress ossidativo

In una serie di esperimenti, si è riusciti a identificare un nuovo fattore di trascrizione, chiamato Mga2, cruciale per il meccanismo di adattamento alla presenza di bassi livelli di composti ossidativi 

Lo stress ossidativo, sia nella letteratura scientifica sia nella pubblicistica, è stato spesso legato all'invecchiamento, all'insorgenza dei tumori e di altre malattie. Paradossalmente, alcuni studi hanno trovato che una piccola esposizione a composti ossidativi può in realtà offrire una protezione dalla presenza di dosi più massicce. 

Ora i ricercatori dell'Università della California a San Diego hanno scoperto il gene responsabile di tale effetto: il lavoro pubblicato sull'ultimo numero della rivista on-line ad accesso libero PLoS Genetics spiega il meccanismo sottostante al processo che previene il danno cellulare da parte dei derivati reattivi dell'ossigeno (reactive oxygen species, ROS).

"Possiamo bere succo di melagrana per combattere i radicali liberi o seguire una dieta a basso introito calorico per essere più longevi", ha commentato Trey Ideker, capo della divisione di genetica del Dipartimento di medicina della UC San Diego e professore di bioingegneria della Jacobs School of Engineering. "Ma ora i nostri studi suggeriscono che effettivamente gli esseri umani sono in grado di prolungare la propria vita esponendo il proprio corpo a minime quantità di ossidanti."

I ROS sono ioni che si formano come prodotto di scarto naturale del metabolismo dell'ossigeno e rivestono un ruolo importante nei processi di segnalazione molecolare all'interno delle cellule. Questa classe di piccole molecole include gli ioni ossigeno, i radicali liberi e i perossidi. Tuttavia, in condizioni di stress ambientale  - per esempio, per l'esposizione alla radiazione ultravioletta, al calore o a sostanze chimiche nocive - i livelli di ROS possono aumentare drasticamente. Tale effetto, a sua volta, può determinare un significativo danno cellulare a carico delle molecole di DNA e di RNA e delle proteine con effetti cumulativi che vanno sotto il nome di stress ossidativo.

Uno dei maggiori contributi a a quest'ultimo è dato dal perossido di idrogeno derivato da un tipo di radicali prodotti dai mitocondri con la produzione di energia. Sebbene la cellula abbia un metodo per minimizzare gli effetti dannosi del perossido di idrogeno, convertendolo in ossigeno e acqua, tale processo non riesce nel 100 per cento dei casi. 

Ideker e colleghi hanno così cominciato a studiare nei lieviti i processi coinvolti nel processo di adattamento della cellula alla presenza di perossido di idrogeno, cercando di chiarire in che modo avviene l'ormesi, il fenomeno per il quale una sostanza tossica agisce come stimolante in piccole dosi e come un inibitore a grandi dosi.

Si è così proceduto a trattare le cellule con una piccola dose di perossido di idrogeno seguita da una alta dose cercando al contempo i geni candidati a controllare questo meccanismo di adattamento, per il quale è risultato cruciale un nuovo fattore di trascrizione chiamato Mga2.

"Si è trattato di un risultato sorprendente perché Mga2 si trova in un 'posto di controllo' di un cammino completamente differente di rispetto a quelli che rispondono a una esposizione acuta ad agenti ossidativi: questo secondo cammino è attivo solo alle più basse dosi", ha concluso Ideker. (fc)

Fonti: http://lescienze.espresso.repubblica.it/

giovedì 28 maggio 2009

Energia: agli italiani piace rinnovabile



Gradimento dell’ 80% per il solare ed eolico. Al nucleare, ritenuto «pericoloso e costoso» solo il 14%

ROMA - E’ il mix formato da energia solare più eolica quello che sta nel cuore degli italiani: l’80% di un campione rappresentativo della popolazione nazionale vorrebbe che fosse la fonte principale con cui produrre l’elettricità. Solo il 14% opta per il nucleare, di cui tanto si parla in questi mesi a causa del progettato rilancio da parte del governo. Questi dati, presentati al Forum Qual Energia, promosso a Roma da Legambiente e dal Kyoto Club, sono il frutto di una ricerca condotta da Lorien Consulting, un gruppo specializzato in indagini socio-economiche e del mensile La Nuova Ecologia. Dal nuovo sondaggio emerge una fotografia dell’Italia molto consapevole e informata sulle questioni energetico-ambientali che, per il 68,7% degli intervistati, rappresentano i problemi più rilevanti rispetto ad altri, come il rischio del terrorismo (22,1%) o la casa (4,9%). Sul nucleare in particolare emerge che più del 60% degli intervistati lo considera pericoloso e costoso e preferirebbe evitarlo.

DISPOSTI A PAGARE DI PIÙ - Ma il dato forse più significato emerso dall’indagine è quello relativo ai sacrifici che gli italiani sono disposti ad affrontare pur di garantirsi in futuro ambientale e dei sistemi di produzione energetici puliti. «Anche in tempi in cui si tende a diminuire il budget quotidiano (37,7% degli intervistati), gli italiani dichiarano un’aperta disponibilità a pagare di più per garantirsi energie pulite e sostenibili», ha riferito Antonio Valente, amministratore delegato di Lorien Consulting . Anche secondo il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza lo scarso indice di gradimento del nucleare dovrebbe fare riflettere: «Nonostante la recente pressione mediatica, la stragrande maggioranza del campione intervistato, a prescindere da fattori anagrafici, socio-economici e di appartenenza politica, definisce l’energia nucleare cara e pericolosa, e privilegia le fonti rinnovabili. Solo una minoranza (14%) indica il nucleare come fonte da preferire; una minoranza che, di fronte all’ipotesi di abitare vicino a una centrale o a un deposito di scorie radioattive, avrebbe comunque seri dubbi».

LE PERCENTUALI - Il Forum QualEnergia, giunto quest’anno al secondo appuntamento, propone tra i temi la crisi economica e gli stili di vita sostenibili e, nei propositi degli organizzatori, vuole essere un’occasione per dare una risposta ai problemi energetici: dai cambiamenti climatici ai limiti delle risorse. La crescente attenzione degli italiani per le energie rinnovabili è anche il tema di un rapporto presentato dalla Fondazione Sviluppo sostenibile presieduta dall’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, secondo cui, entro il 2020, un kilowattora su tre (pari al 33%) dell’ energia elettrica può essere prodotto utilizzando fonti energetiche rinnovabili. «L’attuale obiettivo di produrre entro il 2020 solo un kilowattora su quattro, pari al 25%, di energia elettrica utilizzando fonti energetiche rinnovabili –sostiene Ronchi - sarebbe infatti un freno alla crescita del solare, dell’eolico e delle biomasse: si può fare di più». Il 33% di rinnovabili, che corrisponde a 108 terawattora (Twh) di produzione nazionale al 2020 (partendo dai 58 prodotti nel 2008) comporta l’obiettivo di 50 nuovi TWh rinnovabili da produrre entro il 2020. Tale obiettivo è impegnativo ma, secondo la Fondazione Sviluppo Sostenibile, raggiungibile nel modo seguente: 22 Twh di nuovo eolico, 11 Twh di nuove biomasse e biogas, 7 Twh di nuovo solare, 5 Twh di nuovo idroelettrico.

FONTE: ANSA